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Vincenzo Restivo – Maregrigio

  1. Ci presenti il suo libro

Maregrigio è un romanzo sull’impossibilità, in determinati contesti, di essere sé stessi. E i motivi di questa occlusione sono tanti ma hanno tutti a che vedere con i retaggi tipici di certe piccole realtà, dove i panni sporchi non necessariamente si lavano in famiglia e dove l’omertà ha un posto di privilegio nella scala delle gerarchie. Realtà sociali, dove la malavita si addossa un certo grado di responsabilità, e, per codardia e remissività verso un contesto privo di regole, è accolta e venerata come unica salvezza possibile, assieme a una sacralità che è già profana per il materialismo di cui si fa portavoce. 

Maregrigio è anche una storia di violenze. Tutte hanno a che fare con l’abusivismo di corpi e l’imposizione di dettami obsoleti che compiacciono un maschilismo tossico e oltraggioso. 

Violenza di genere, pedofilia, omofobia, sono alcune delle tematiche di cui Dragona si fa colpevole promotrice, assieme a un mare che è antonimo di sé stesso, non libero, non limpido, non aperto. Ma grigio, nebbioso, ostruente.  

2. Ci regali un breve stralcio dell’opera, una parte che per lei è particolarmente significativa.

Ha gli occhi lucidi come fa il sole con l’acqua.

Ezio guarda un po’ lei e un po’ la finestra che incornicia il mare. Sono le quattro, e alle quattro il sole ti accoglie bene, e riempie le stanze di una luce che sembra oro e che colora tutto quello che tocca. 

L’acqua, però, diventa di diamante, alle quattro. 

Ezio fissa il mare, che è fatto proprio di diamanti, e pensa solo al mare mentre le scava dentro, su e giù, con la fretta di fare e andar via.

Teresa non parla, anche lei guarda verso la finestra. Ha gli occhi che sembrano due lucciole. Ha pure la bocca chiusa, stretta. Si morde le labbra per non parlare. Non ha più detto nulla, da quando Ezio le si è messo sopra. Gli ha chiesto solo se per lui fosse la prima volta. 

Ezio le ha detto di sì. 

Poi ha aspettato che si spogliasse, e non ha fatto niente più. Come se il suo corpo non fosse veramente il suo, come se non provasse niente, dal collo in giù.

La luce d’oro le illumina la pelle, riflette sul seno grande, sulla pancia morbida, sulle cosce grosse. Ha solo quindici anni Teresa, ma è alta e grassa tanto da sembrare adulta.

Ezio le sta sopra come su un cumulo d’ovatta. E la testa sua sobbalza. Come se avesse il singhiozzo.

«Se non ci riesci non fa niente. Non lo dico a nessuno» lei parla all’improvviso, come in un rantolo sordo.

Lui apre ancora di più gli occhi, come se si fosse svegliato da un lungo torpore, ma non parla. Fa solo di sì con la testa, ma il gesto si confonde col dondolio sempre più frenetico. Ezio se la ricorda da piccola, Teresa, quando veniva di domenica in piazza con la faccia sporca di sugo, e voleva giocare a calcio con lui e gli altri maschi.

Le femmine non giocano a pallone le diceva qualcuno. E pure lui una volta glielo disse.

Teresa metteva il broncio e cominciava a piangere, e il moccio le si impiastricciava sul viso. Una grottesca maschera di muco e sugo.

Quando compì dodici anni, Teresa aveva già le tette grandi, ed era più alta di tutte le ragazzine del parco. 

C’era poi quest’altro ragazzo, Salvo, che di anni ne aveva sedici, e che una volta le disse che se voleva giocare con loro, tutti, a turno, le tette gliele dovevano succhiare, e lei doveva fare un bocchino a un tubo di ferro.

Accettò.

Ezio si ritrae, staccandosi completamente dal corpo di lei. Ha la pancia sudata, e per un attimo si osserva il pene floscio, il prepuzio stretto come la bocca di un pesce. Riprende fiato, e non ha il coraggio di guardarla negli occhi.

«Chiudi la porta quando esci, Ezio, per piacere» la voce di lei dice solo questo, ma gli occhi sono ancora rivolti alla finestra.

Ezio raccatta in fretta le sue cose, la testa sempre bassa. Sa che non può lasciarla così, senza dire niente. Prende un po’ di coraggio, quello che basta, e fissa lo sguardo su quella sagoma immobile sul letto: ha i segni dell’acne sulle guance, le labbra troppo secche, il seno nudo, la pancia grossa. Ha coperto il sesso con un lembo del lenzuolo, quasi a preservare l’ultimo barlume di decenza.

«Ciao, Teré» le dice poi.

Lei alza il mento in segno di saluto, però non parla, e continua ostinata a guardare fuori. Sembra una statua, con la schiena appoggiata alla parete, e quella luce che la fa sembrare quasi un’enorme bambola di plastica.

Prima di andare via, Ezio dà l’ultimo sguardo alla stanza: i poster degli NSYNC su di un lato, le mensole strapiene di peluche e flaconi di profumo vuoti.

«Pagate a papà» sente la sua voce dietro le spalle proprio mentre ha già aperto la porta per andarsene.

In cucina ci sono suo padre e il papà di Teresa. Hanno fumato e bevuto caffè, e l’odore del caffè si è mischiato a quello, pungente, delle Marlboro.

Ezio si guarda intorno: la caffettiera ancora sui fornelli, il lavello intasato di stoviglie sporche, sul frigo un piccolo ventilatole e, attaccata con dei magneti allo sportello, l’immagine di un Cristo con gli occhi rivolti verso l’alto e un cuore tra le mani, trafitto da due spade.

Il papà di Ezio sorride un po’ quando lo vede comparire sulla soglia. È compiaciuto.

«T’è piaciuta Teresa?» chiede l’altro, che raccoglie le due tazzine di caffè vuote dal tavolino e raggiunge il lavandino.

Ezio fa solo di sì con la testa e lancia a suo padre un’occhiata rapida che sta per Andiamo via, per favore.

3. C’è un aneddoto particolare che l’ha spinta a scrivere questo libro?

È sempre difficile per me raccontare l’inizio dell’idea di una narrazione. C’è chi spesso mi chiede come mi sia nata l’ispirazione, ed io resto sempre un po’ perplesso, dubbioso su quello che ci sarebbe da dire, inclinato verso il rischio inevitabile di dare risposte artificiose. Questo per dire che davvero non so come nasce tutto, ma so che ha sicuramente a che fare con dei percorsi atavici che hai dentro e ti porti appresso dal tuo esordio al mondo. C’è, in ogni caso, una nota di merito che devo concedere alla cronaca e a quel bisogno di dare un contributo alla denuncia. Ho la penna e la carta, non ho altro, io. E Maregrigio è nato così, inizialmente dal bisogno di mettere su carta un grido e una denuncia che molto aveva a che fare con la storia terribile di Ciccio e Tore, i fratellini di Gravina di Puglia. Da lì poi la storia si è tessuta un po’ da sola, grazie a quelle necessità ataviche di cui parlavamo prima, e così sono nati gli altri personaggi, è nata Dragona, e tutto quel che segue…

4. Cosa si aspetta dalla partecipazione a Casa Sanremo Writers 2023?

È doveroso fare una precisazione, ed è quella che Maregrigio nasce dopo il mio La Santa Piccola, scritto nel 2016, e che ha avuto la fortuna di diventare un film e vincere la Biennale College di Venezia. 

Ho sempre saputo che sarebbe stata un’impresa ardua e competitiva presentare, dopo qualche anno, un testo che avesse più o meno le stesse caratteristiche e che affrontasse argomentazioni più o meno simili. C’era il rischio di deludere le aspettative dei lettori e di deludere me stesso. Purtroppo, in aggiunta, ci sono stati gli anni di Covid ad ostacolare la possibilità di pubblicizzare il testo oltre le piattaforme online  benché , nel 2020, a soli due mesi dall’uscita, il romanzo avesse vinto il premio Napoli Cultural Classic per la sezione libri editi. 

Ma, c’è un ma.

Oggi sembra che le cose stiano girando nel verso giusto. Poche settimane fa c’è stato un nuovo premio “Marchio di Qualità” alla rassegna della Microeditoria di Chiari, più  menzione speciale da parte della critica.

Tutto ciò mi ha restituito la fiducia, tutta quella che la segregazione fisica di questi ultimi anni aveva azzerato, compresa la mia voglia di scrivere. 

Tutto ciò, per dire che spero che questa nuova esperienza, a Casa Sanremo, possa dare al mio testo tutta la visibilità che gli ultimi eventi non gli hanno concesso. Che gli dia voce e che lo determini, in qualche modo. Io, per questo, vi ringrazio dell’opportunità.