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Mirella Napodano – MA L’AMORE NO – Romanzo epistolare per la memoria delle emozioni

1. Ci presenti il suo libro. 

È un testo denso di ricordi di famiglia e testimonianze storiche, in cui si narrano le alterne vicende del fidanzamento dei miei genitori, a lungo separati all’epoca della Seconda guerra mondiale. Carmine, infatti, è militare di carriera in Africa settentrionale e sta vivendo l’esperienza bellica tra privazioni di ogni genere, slanci patriottici e la speranza di tornare in patria per coronare finalmente il suo sogno d’amore. Nel frattempo, Emilia, che abita ad Avellino, lavora presso una storica tipografia della città, editrice del giornale di cui è direttore e proprietario suo padre Fiorentino Cotone, intellettuale noto per il suo impegno civile. Fra i due fidanzati si instaura un carteggio ininterrotto di lettere d’amore, intrise di tenera nostalgia, che sorvolano quotidianamente il mar Mediterraneo sulle ali degli aerei da guerra. Fanno da scenario: da una parte palme e dune di un deserto vissuto dal romantico sergente non tanto come ambiente ostile, quanto come immensità di stupefacente bellezza; dall’altra parte del mare, lo sfondo è quello di una città di provincia dalla vivace vita intellettuale e civica, di cui è espressione il salotto culturale del pubblicista Cotone, fondatore e direttore del periodico ‘Don Basilio’. E mentre la vita si svolgeva tra alterne fortune militari, pericoli e impegni di lavoro perseguiti con scrupolo e puntualità, i due innamorati si davano appuntamento al sorgere della luna. Il testo si giova di una puntuale ricostruzione storica, resa possibile dal possesso dei documenti originali della carriera militare di Carmine, che hanno consentito di ricostruire tutti gli spostamenti tra i vari fronti di guerra dell’Africa settentrionale del giovane sergente e del drappello di mitraglieri che comandava. L’Introduzione dell’autrice ha lo scopo di chiarire al lettore le motivazioni filosofiche, psicologiche e storico-antropologiche dell’opera. 

2. Ci regali un breve stralcio dell’opera, una parte che per lei è particolarmente significativa.

La motonave continuava la sua rotta con andatura costante nel buio della notte; il mare era piuttosto calmo nonostante l’avanzata stagione autunnale. Carmine pensò all’estate di S. Martino, alle leggende che gli raccontavano i nonni sul caldo venuto all’improvviso per miracolo quando il santo regalò il proprio mantello al povero, e sorrise al pensiero che anche quell’anno le previsioni del bel tempo si erano avverate al momento giusto. Un’eventuale traversata col mare agitato gli avrebbe provocato uno stato d’ansia ancora più acuto di quello che già stava provando. D’un tratto, prima lento come un sospiro, poi più forte e convinto, si levò il coro dei soldati napoletani che intonavano appassionatamente ‘Santa Lucia luntana’. Un caporale pugliese protestò in maniera vibrante per l’eccessivo sentimentalismo che induceva quella melodia, imponendo al gruppo di cantare piuttosto inni fascisti come ‘Giovinezza’ e ‘Faccetta nera’. Seguirono pochi altri accenni canori, ben presto sopraffatti dalla malinconia e dal sonno profondo che assalì i soldati, vinti dalla stanchezza e dalle emozioni della giornata. In quella lunga notte Carmine quasi non riuscì a dormire: agitato com’era, sobbalzava spesso sia per la scomoda sistemazione che per i frequenti rumori provocati dall’affollamento dei soldati che giacevano in tutte le posizioni attorno a lui. Alle prime luci dell’alba, il chiarore che filtrava dai finestrini del vano sottocoperta e lo sciabordio delle onde che si infrangevano lungo i fianchi della nave lo svegliarono del tutto. Il bisogno di sgranchirsi le gambe lo spinse a raggiungere il ponte da dove sperava di contemplare il panorama africano, per lui del tutto nuovo, ma la costa era ancora lontana. L’esperienza del mare aperto gli provocò una sorta di esaltazione liberatoria e mentre spingeva lo sguardo all’orizzonte, solcato dai raggi del sole nascente, ecco pararsi davanti ai suoi occhi increduli la danza di un branco di delfini che saltavano rincorrendosi tra i flutti, seguendo la scia bianca della motonave. Quasi in controcanto, alcuni gabbiani solcavano il cielo azzurro consegnando alla brezza del mattino i richiami emessi dai loro corpi tesi nello sforzo del volo. Uno di essi tentò di avvicinarsi alla ringhiera del ponte, vicinissimo a Carmine, che si rammaricò di non aver portato con sé qualche minuzzolo di pane da lanciargli. Con il riflesso del mare negli occhi e l’aria profumata di salsedine che gli gonfiava il giubbino, Carmine pensò che la natura quando vuole sa essere beneaugurante e immaginò lo spettacolo del deserto, le dune di sabbia, le palme, le oasi, i tramonti sul mare e infine gli indigeni con i loro coloratissimi costumi davanti alle case contornate da palmizi. Forse avrebbe visto le scimmiette, che tanto piacciono ad Emilia e le avrebbe fotografate per lei. Sorrise mestamente pensando che non era certo diretto in Africa per un safari fotografico, ma che presto avrebbe dovuto imbracciare un fucile, forse anche una mitragliatrice, schivare i colpi del nemico e perfino essere costretto ad uccidere per salvarsi la vita. “Ci sarà in compenso l’amicizia dei miei soldati e la stima dei superiori che saprò meritare col mio comportamento. Ma quanto è lontana quest’Africa e quanto mare mi separerà d’ora in avanti da Emilia!” Pensò tra sé prima di risolversi a tornare sottocoperta, tra i compagni di viaggio che adesso avrebbe trovato quasi tutti svegli. 

3. C’è un aneddoto particolare che l’ha spinta a scrivere questo libro?

La motivazione a scrivere questo romanzo è stata la solitudine estrema che ho provato durante il primo lockdown: mettermi a scrivere è stato terapeutico, ha dato un senso a quelle giornate di prigionia tutte eguali, fino al punto da sembrare addirittura ‘inutili’. Avevo in mente già da tempo nelle linee generali la struttura dell’opera, ma, avendo molti impegni di lavoro fuori casa, non trovavo mai la giusta concentrazione per mettermi a lavorare con continuità. Il silenzio desolato di quei mesi – invece – mi ha paradossalmente aiutato ad immaginare le lontane vicende di un passato che non mi apparteneva direttamente, per ragioni anagrafiche, ma che faceva parte di una narrativa familiare che volevo a tutti i costi tramandare alle giovani generazioni dei parenti e degli amici lettori.

4. Cosa si aspetta dalla partecipazione a Casa Sanremo Writers 2023?

La possibilità di effettuare confronti con altri autori e con persone di cultura con cui scambiarsi e condividere informazioni, impressioni, emozioni. Sono curiosa di dare un’occhiata a questo mondo così variegato e ricco di esperienze che è l’evento “S. Remo”, nel cui ambito spero che la mia opera possa essere apprezzata e conosciuta a livello nazionale.