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Veronica Manghesi – “Il posto delle parole” – Poesie

1. Ci presenti il suo libro. 

Per questa terza raccolta di poesie l’autrice affronta la complessa questione della scrittura poetica, tentando di dare un posto coerente e corretto alle parole. In un’epoca sempre più veloce e superficiale, improntata sulla comunicazione non verbale, affidata alle immagini, sacrificando la cura del linguaggio e della semantica, c’è la necessità di riappropriarsi del senso del verso, della sua origine intima, legata al cuore, all’anima, allo stomaco, coacervo delle emozioni più carnali e antiche. Tutto nasce dal sé, e tutto sfocia fuori da sé, in un corale abbraccio di sensazioni e visioni espresse in versi, appunto, diversi da ciò che intende mortificare l’espressione lirica, in difesa e con il rispetto della struttura portante che ci deve essere in ogni composizione poetica. 

Dopo aver esplorato le sue inquietudini interiori di donna e le complessità comunicative interpersonali, in questo testo Veronica si abbandona al libero fluire delle passioni, se ne lascia attraversare, senza necessità di analisi specifiche se non l’intuizione della loro origine fisiologica, godendone anche quando sono impertinenti e disordinate, come una risacca

gioiosa/noiosa/insistente che sciabordi sul proprio corpo disteso a riva, lasciando conchiglie e rena fra i capelli, non senza assaporarne lo struggimento ed assieme la bellezza che deriva da tanto scompiglio. 

2. Ci regali un breve stralcio dell’opera, una parte che per lei è particolarmente significativa.

CHIEDIMI

Chiedimi 

del posto delle parole, 

dei fulmini sotto la lingua,

dell’assordante dirugginio

che precede la forgia che modella,

il battito per la creazione

prima che evapori il pensiero.

Chiedimi 

dell’origine del verbo,

del bianco petto,

delle brune essenze ventrali,

del folle tempo di una poesia folle

di conchiglie fra i capelli

nella pausa soave dell’alba.

E dimmi 

che colore ha il sangue

se uno slancio di vita lo coglie

sversante in fiotti su carta lattescente,

se sussurra la rima di un sospiro,

di un fruscìo di allodola bionda

accucciata sul muretto.

E dimmi 

il sapore della tua bocca

immersa in questo filo di voce.

Questo io so: nasce

dal roveto delle corde vocali 

l’umore di roride more

livide, in una zefira sera 

di nembi corrivi.

3. C’è un aneddoto particolare che l’ha spinta a scrivere questo libro?

Un autore ha sempre la spinta alla scrittura, costante, quotidiana. È una urgenza creativa imprescindibile. In particolare, il poeta vive di osservazione della realtà che lo circonda, di sensazioni, emozioni, incontri che lasciano una impronta addosso e che sente di dover restituire con una sorta di “traduzione” umana e metacognitiva. Questo libro nasce in un momento particolare della mia vita, di grande cambiamento professionale e personale, dopo la difficoltà espressiva dovuta alle restrizioni causate dalla pandemia, ed al loro carico di dolore. Sono stati due anni impegnativi e faticosi, e sentivo la necessità di voltare pagina, nel vero senso della parola.  

4. Cosa si aspetta dalla partecipazione a Casa Sanremo Writers 2023?

Mi aspetto di poter avere una visibilità maggiore rispetto al territorio in cui opero e mi esprimo: mi occupo di tante attività culturali, purtroppo limitate dalla dimensione provinciale della mia pur meravigliosa città (Pisa). La poesia (non solo mia, naturalmente) e la sua divulgazione sono per me una vera vocazione; coltivo l’ambizione di riavvicinare il grande pubblico a questa bellissima forma di scrittura, da troppo tempo ritenuta elitaria e di nicchia. Invece il linguaggio poetico si è nel tempo contemporaneizzato, e la forma breve si avvicina molto alla comunicazione veloce e didascalica dei moderni mezzi social e media. Inoltre, abbiamo un gran bisogno di recuperare una dimensione di bellezza, riflessione e cura della parola scritta, in tempi tanto superficiali e prosaici, che ci impoveriscono e allontanano dalla nostra alta dimensione umana e intellettuale.