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Marta Brioschi – La casa gialla

  1. Ci presenti il suo libro.

La Casa Gialla racconta le vicissitudini di Son-Jun, un giovane scrittore di gialli franco-coreano, che, dopo l’ennesimo litigio furibondo con il padre, decide di lasciare per sempre la casa in cui è cresciuto a Seoul per partire alla volta della Francia alla ricerca della madre, scomparsa nel nulla ventinove anni prima. Il protagonista non sa cosa ne sia stato di lei, il padre gli ha infatti negato ogni ricordo della donna, arrivando addirittura al punto di impedire a chi la conosceva di parlarne al figlio. Di lei resta solo una sciarpa di seta sbiadita e il ricordo del suono della voce, mentre cantava ninna-nanne francesi. Una vecchia foto che la ritrae davanti a una chiesa di Parigi, trovata per caso nello studio paterno, è l’unica flebile traccia cui Son-Jun si aggrappa nella speranza di ritrovare la madre. A Parigi, infine, gli viene consegnato un diario che, a poco a poco, consentirà al protagonista di ripercorrere gli eventi salienti nella vita della donna scomparsa, fino al perdersi delle sue tracce in Italia. Qui, sullo sfondo della bellissima campagna autunnale toscana, il viaggio di Son-Jun si interrompe e nel corso delle sue ricerche in loco, egli si troverà coinvolto in un mistero più grande e più torbido di quello riguardante il suo passato. Un passato che avrebbe dovuto restare sepolto e che lui invece scoperchierà come un vero e proprio “Vaso di Pandora”, stravolgendo la propria vita, insieme a quella di altre persone.

Per ovvi motivi, non mi è dato raccontare di più, ma posso assicurarvi che questo romanzo è un giallo ricco di colpi di scena, con un finale mozzafiato niente affatto scontato. È strutturato come un giallo classico, in cui ho dato molto spazio alla psicologia dei personaggi e alle ambientazioni, con l’intento di offrire un’esperienza “immersiva”. Volevo, infatti, che il lettore si sentisse lì in quei luoghi, insieme ai personaggi, come se assistesse alle scene di un film. Inoltre, nonostante si tratti di un giallo, si apre ad altri generi. Di fatto, lo si può leggere come romanzo di formazione, saga familiare e anche come racconto di viaggio, non tanto per i luoghi descritti, bensì perché nel mio romanzo si riflette lo spirito del viaggiatore e cioè di colui che abita il mondo con l’apertura mentale del viaggiatore, eternamente curioso delle culture altre e inclusivo. Non a caso, ho scelto un mezzo-sangue come protagonista, un giovane uomo che per la prima volta arriva in Europa, provenendo da una società molto conservatrice e patriarcale con usi e costumi assai distanti dai nostri e molto poco conosciuti; eppure, si immerge nel nuovo mondo senza pregiudizi e lo esplora con l’animo innocente di chi chiede solo di conoscere, trovando la stessa disponibilità in chi lo accoglie. Forse qualcuno, a questo punto, potrebbe obiettare che in questo io abbia peccato d’ingenuità: è infatti probabile che nel mondo reale il protagonista avrebbe suscitato maggiore diffidenza, ma la scrittura, dopotutto, è finzione e la finzione ci permette di descrivere mondi possibili oltre che rappresentare una critica della realtà e, in questo momento storico, in cui le nostre vite sono state toccate da una pandemia e, più recentemente, anche da una guerra nel vicinato, credo che immaginare mondi possibili di pace, integrazione e rinascita, rappresenti senz’altro un valore aggiunto.

2. Ci regali un breve stralcio dell’opera, una parte che per lei è particolarmente

significativa.

“Aprire gli occhi su una nuova cittàà lo aveva spaventato, in un primo momento. Lo smarrimento che aveva seguito il riscoprire alla luce del giorno particolari sconosciuti nell’angusta stanzetta di un affittacamere di periferia era stato vieppiù caricato di una dose di inadeguatezza di fronte ai panorami cittadini che gli si aprivano innanzi ora, mentre percorreva le strade di Parigi in una sferragliante R4. La veritàà era che non aveva la minima idea di dove iniziare le sue ricerche e questo aggiungeva ansia alle tante emozioni che gli si stavano accumulando in petto. Dentro un cassetto chiuso a chiave nello studio del padre, aveva trovato, tempo prima e per caso, una vecchia foto della madre. Era ritratta davanti a una chiesa cattolica. Era bellissima e giovanissima, ancora inconsapevole delle amarezze che, di lì a poco, avrebbero invecchiato il suo volto e fiaccato la sua fanciullesca esuberanza. Si trovava in Francia, il suo paese natale. Sul retro della foto era scritto a mano il nome della Parrocchia e poi quello della cittàà: Parigi. Se avesse trovato la chiesa, si ripeteva ormai ossessivamente quella mattina, forse avrebbe trovato il sacerdote e quindi, allora, anche una traccia e con essa la speranza di ritrovare presto sua madre. Jean si sporse oltre la curvatura del volante per osservare il cielo plumbeo sopra di lui. Non prometteva niente di buono e nemmeno il vento, che faceva danzare in tondo le prime foglie cadute ai bordi della strada. D’istinto, si strinse meglio intorno al collo la sua sciarpa preferita – una larga striscia di lino e seta di un arancione sbiadito da tanti lavaggi – che custodiva sin da bambino come oggetto portafortuna e si sistemò gli occhiali sul naso. Presto avrebbe iniziato a piovere a dirotto ed egli, purtroppo, già sapeva che dei due tergicristalli disponibili, solo quello di fronte al sedile accanto al suo si sarebbe attivato. La sua caccia avrebbe dunque subito un arresto; tanto valeva cercarsi un caffè dove mangiare qualcosa di caldo, mentre fuori il temporale faceva il suo corso. Non fu difficile trovare un locale accogliente, ma il passo successivo rappresentò invece una vera e propria sfida. Era abituato infatti alla pronuncia inglese degli asiatici di diversa provenienza, ma quella dei locali (quando mostravano di saper parlare la lingua), era talmente ostica da impedirgli non solo di comprendere, ma anche di essere compreso. Fu quindi con non poco sudore, che riuscì a conquistarsi il conforto di una zuppa di cipolle e di un boccale di birra alsaziana.”

3. C’è un aneddoto particolare che l’ha spinta a scrivere questo libro?

Sì, Durante il primo lock-down, mio figlio mi dava il tormento perché scrivessi un racconto giallo (i gialli e i thriller sono una passione che abbiamo in comune). Io avevo già scritto due libri che però tenevo nel cassetto e che mi ero rifiutata di pubblicare e non avevo intenzione di scriverne un terzo. Poi però ho perso una scommessa e così, solo per divertimento, e nessuna intenzione di pubblicare, ho iniziato a scrivere, partendo da un titolo e nessuna idea. È bastato sedermi per iniziare che, quasi senza accorgermene, sono entrata in un tunnel creativo che mi ha letteralmente risucchiata.

4. Cosa si aspetta dalla partecipazione a Casa Sanremo Writers 2023?

MI aspetto di incontrare altri autori e di incuriosire nuovi lettori. Adesso so che il mio romanzo, che per me è stato un po’ una terapia in tempi non proprio facili, ha molto da offrire oltre il piacere di provare a risolvere un intricato enigma e vorrei fosse condiviso da più persone possibile. Cosa c’è di meglio di una vetrina tanto importante?