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Gennaro Galeotafiore porterà I Sapori di Napoli a Casa Sanremo

Da oltre 25 anni nel campo del food e della ristorazione, Gennaro Galeotafiore approda per la prima volta a Casa Sanremo con i suoi Sapori di Napoli e l’impegno di trasformare ogni boccone in un’emozione, parafrasando il suo claim.

Nel 1993 il Monzù Gennaro Galeotafiore apre il suo primo ristorante; poco dopo fonda l’azienda Sapori Di Napoli, impegnata nella produzione artigianale dei prodotti principali della frittura all’italiana.

Il 2008 è un anno di vera e propria svolta: la produzione cresce fino a diventare industriale, pur mantenendo intatti gli elevati standard qualitativi legati all’artigianalità. Oltre alla produzione di prodotti pronti da friggere (Linea Friggimì) e da infornare (Linea Sfornamì), sempre a Nola, Gennaro Galeotafiore è titolare della Trattoria, pizza e fritti – Sapori di Napoli dove prepara il suo famoso Ragù che pensa, come ci racconta in quest’intervista:

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[su_spoiler title=”L’intervista a Gennaro Galeotafiore” style=”fancy” open=”yes”]

[su_row][su_column size=”1/3″][/su_column] [su_column size=”2/3″]– Come ti sei avvicinato a questo mestiere?

Avevo una grande passione per la cucina fin da piccolo, nel ’93 ho aperto il mio primo ristorante e, da lì, è stato un crescendo continuo.

 

– Di cosa ti occuperai a Casa Sanremo?

A Casa Sanremo porterò il “Ragù che pensa”: in formula di “frittura”, con i prodotti dell’azienda di surgelati Sapori di Napoli(crocchè, arancini e frittatine) e in formula classica, per condire la candela spezzata.

 

– Da dove viene questo nome?

L’ho chiamato Ragù che pensa per i suoi lunghi tempi di cottura. Ci vogliono quattro giorni per raggiungere il risultato finale: i primi due sono dedicati alla delicata procedura per la preparazione del concentrato; gli altri due giorni alla cottura, per permettere alla carne di rilassare il tessuto e scaricare liquidi. Il pomodoro, rigorosamente San Marzano, attraversa una fase di lunghe ore di bollitura a fuoco lento, e arriva nel piatto solo dopo un passaggio finale nel setaccio. Il sugo cuoce nella classica pentola di coccio, utilizzando vari tagli di bovino adulto, ma con l’inserimento anche di un po’ di suino, e si utilizza per condire appunto le fritture o la pasta.

 

– Secondo te, quali sono i tre elementi essenziali che non devono mai mancare in cucina?

Il palato, la passione, l’amore.

 

– Qual è il tuo piatto preferito e perché?

Non ho un piatto preferito, cambia in continuazione (ride, ndr); i piatti sono dei figli: come fai a scegliere il preferito? Ad esempio, ultimamente, abbiamo ideato la genovese scomposta: rispetto alla ricetta tradizionale abbiamo realizzato cotture diverse per i vari elementi, apportato modifiche nella preparazione delle carni, del sedano e della carota… l’abbiamo scomposta e poi ricomposta nel piatto, prodotto per prodotto, creando un mix di consistenze.

 

– Il piatto che più ti rappresenta invece?

Senza dubbio, il ragù che pensa.

 

– Come nasce la collaborazione con Casa Sanremo?

Già 6/7 mesi fa quest’idea mi frullava in testa; così mi sono impegnato nel far arrivare i miei prodotti a Casa Sanremo. A riuscire in questo mio intento mi ha aiutato sicuramente il nome particolare che ho dato al piatto: Ragù che pensa. Credo abbia suscitato la curiosità dell’organizzazione che, presa dall’entusiasmo di capire di cosa si trattasse, ha voluto approfondire la questione, dando a noi la possibilità di partecipare a Casa Sanremo.

 

– Come mai ti fai chiamare Monzù?

Preferisco che mi chiamino “Monzù” e non Chef, perché la mia cucina si compone di molti primi piatti tradizionali, anche se cerco di rivisitarli in chiave attuale per creare qualcosa di diverso. Quindi il nome Monzù vuole esprimere tutto il mio legame con la tradizione, l’attaccamento alle mie radici e al territorio.

 

– Cosa ti aspetti da questa esperienza a Casa Sanremo?

Non vedo l’ora di fare assaggiare i nostri prodotti, realizzati con i criteri che ci hanno tramandato con il tempo.

Il mio piacere più grande – chi cucina sa quello che dico – sarà vedere il piatto vuoto, segno che, chi ha mangiato, ha apprezzato quello che ho preparato.

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