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Anna D’Auria – ‘’ Trema la vita. Dalle macerie del sisma rinasce la speranza’’

Autore: Anna D’Auria

Opera:

‘’ Trema la vita. Dalle macerie del sisma rinasce la speranza’’

Ci presenti il suo libro

Sinossi

Il libro si apre con la voce di Aurora che si trova in India e racconta il suo incontro con una ragazza quindicenne, Kamala, in cui rivede la figlia morta anni prima.

Attraverso un lungo flashback, la protagonista ci riporta indietro di alcuni anni: è il 1980, siamo a Bisaccia un piccolo borgo di origini medievali, accogliente e modesto, sconvolto improvvisamente da un terribile sisma che strappa alla vita tremila tra uomini, donne e bambini.

Aurora, appena diciassettenne, riesce a sopravvivere al terremoto ma perde una parte di sé, la bambina che porta nel suo giovane grembo.

La sua vita per la prima volta trema, subisce un forte scossone da cui riesce gradualmente e con coraggio a riprendersi, grazie ad una fotografia che il padre, impegnato come soldato in missioni umanitarie in Afghanistan, le ha donato anni prima. La sua salvezza è riposta in quello scatto di vita vera e autentica, un input per dare un senso alla propria esistenza dopo il grave lutto subìto.

Inizia la nuova vita della giovane protagonista che diventa una fotoreporter d’assalto per testimoniare attraverso la fotografia i drammi di terre e popoli violentati e oppressi dalla mano umana. Durante uno dei suoi numerosi viaggi, sul vagone di un treno, incontra un’anziana guru indiana, che le consegna la speranza di poter ritrovare in vita quella figlia che ha creduto persa per sempre.

‘’La troverai nella terra più remota, a mendicare la vita, negli angoli più bui dell’esistenza. Ma la ritroverai, dopo averla persa. Ognuno transita, temporaneamente, nel grembo del fertile terreno sensibile, per poi rinascere in nuove ed eteree forme’’.

La guru le indica anche il nome della piccola: Kamala.

La vita di Aurora trema di nuovo ma questa volta per un’ inaspettata felicità, foriera di vera rinascita. Intraprende un nuovo viaggio, per trovare ciò che il Karman le ha temporaneamente strappato, per poi restituirglielo in una ‘’nuova forma’’. Arrivata a Odisha, lungo il confine meridionale dell’India, seguendo le indicazioni della guru, finalmente riesce a ritrovare ciò che sta cercando, la sua Kamala, ormai quindicenne.

Basta uno sguardo perché Aurora e la ragazza capiscano di essersi già incontrate a livello spirituale. A questo punto, il resoconto, in prima persona, di Aurora si interrompe per lasciare spazio alla voce di Kamala, che ripercorre la propria storia, con intensità emozionale, e racconta ad Aurora e a tutti i lettori il difficile cammino di vita di molte giovani donne indiane, prostrate dalla miseria e dall’ossequio ad una tradizione obsoleta tuttavia resilienti, capaci di maturare nel dolore con la rara forza del loto che radicato nel fango, gradualmente, trova il suo riscatto sbocciando alla luce, aggrappandosi disperatamente alla vita. Il romanzo si conclude con l’abbraccio tra Aurora e Kamala e con il progetto di una nuova vita insieme in Italia.

Ci regali un breve stralcio dell’opera, una parte che per lei è particolarmente significativa.

Sembrava ancora una bambina, gli occhi scuri, intensi e raggianti di vita, la voce nitida, divina di un usignolo che rischiara, col canto dell’anima, le fosche tenebre dell’esistenza, tinteggiata di affanni. Canta di notte, nell’oscurantismo che vela il suo triste quotidiano e prosegue fino a quando, finalmente, non sopraggiunge l’aurora che pennella di rosee speranze la vita.

«Come ti chiami?», una domanda proferita con prontezza per il desiderio di conoscere ogni particolare di lei, un novello Orfeo, che mi incuriosiva e affascinava al contempo.

Estasiata dalla leggerezza con cui si inanellavano nell’aria i colori eufonici della sua voce, quale dipinto di sfumature perfette, soave arpeggio che pizzica le corde sottili della nostra essenza.

«कमला, Kamala», mi rispose, esitando, quasi incespicando sulle parole.

«È il nome di uno dei Krittikas, gli astri celesti cantati nel poema epico indù del “Mahabharata’’, ma è anche il nome delle nostre dee Lakshmi e Durga». Ci tenne a precisare l’importanza del suo nome, altisonante, di antica tradizione.

«L’unica cosa preziosa che posseggo», chiosò, con occhi di fuoco, ardenti di luce e di passione. Mi avevano informata del suo stato di salute molto cagionevole: uno scricciolo, orbo della vista che, ai miei occhi, appariva estremamente potente per la forza non solo del nome, bensì della voce.

I suoi occhi mi parlavano con un linguaggio muto che faceva vacillare le mie sicurezze.

Scrutando a fondo in quello sguardo perso nel vuoto, vi leggevo qualcosa di insolito, non un’infermità ma la luce della vita. Erano vitali, seppur volutamente accecati dalla paura di un’ennesima, quanto brutale soppressione di libertà. La paura li teneva fermi e, in apparenza, spenti: erano due fari accesi, due perle lucenti di bellezza.

Mi accorsi all’istante che fingeva. Non era cieca ma simulava. Per paura, certo.

Era un modo per reagire e resistere all’abbrutimento di una società, che voleva annientarla come persona, dopo averla ridotta in condizione di penosa menomazione. La comprai subito per sottrarla alla morte, a cui l’avevano ormai destinata, non potendo più utilizzarla o sfruttarla oltre. Era stata una donna a propormi l’acquisto. Diceva di averla aiutata e salvata già una volta, tuttavia, ora si trovava in con- dizione di non poterla più proteggere.

«Kamala»: mi soffermai più volte sul suo nome, foriero di speranza, non solo per lei ma soprattutto per me.

«Kamala», il fiore di loto, dalla cromia decisa, il rosso di un tramonto che apre a una nuova vita: alla palingenesi dell’anima.

Lei mi fissava con lo sguardo temprato da una sofferenza che l’aveva indebolita nel fragile corpicino ma rinsaldata nella volontà, sempre più ferma, di non arrendersi al dolore.

Quanta tenacia traspariva dal suo atteggiamento, nonostante le menomazioni subite nel fisico, quasi spezzato sotto i colpi di mani e di menti guidate dall’ignoranza del bene!

L’amai subito, all’istante. Amai ogni sua fragilità fisica. Riconobbi in lei ogni segno di quella forza spirituale, che mi apparteneva: ogni cicatrice sul suo gracile corpo era una fitta diretta al mio cuore, al cuore di una madre, per anni dimidiata.

Mi ero sentita incompleta, menomata nel fisico ma anche nell’animo, adesso finalmente ricomponevo la mia unità da una scissione che, se non fosse stata sanata, mi avrebbe condotto alla morte.

Come Kamala, mi ero aggrappata alla vita con tutte le mie deboli e residuali forze, aspettando il risveglio interiore che, inevitabilmente, prima o poi, sarebbe arrivato. Si può risalire dal solco profondo della disperazione, ne ero ormai convinta: il sole non tarda ad arrivare neanche nei recessi più tenebrosi, mostrandoci la luce del riscatto. Bisogna solo attendere senza mai smettere di ricercare il bene.

Da questo preciso istante, per noi due iniziava il tempo del cambiamento: cambiare pelle, scrostarsi di dosso la miseria senza però obliare il passato.

“kleśamūlaḥ karmāśayaḥ dṛṣta adṛṣta janma vedanīyaḥ”

“Nella vita presente o in quelle future si farà esperienza delle impronte accumulate nelle vite passate, originate dalle afflizioni.”

C’è un aneddoto particolare che l’ha spinta a scrivere questo libro?

Ho voluto consegnare ai lettori una storia reale di rinascita e sacrifico, al contempo intrisa di spiritualità e di fede, per infondere fiducia e forza d’animo ad ogni lettore, che può trovarsi in una condizione di difficoltà personale. Una storia affidata a due voci femminili, due giovani donne che si raccontano con intensità emozionale.

Il tenace filo della speranza lega le due vicende narrate. La speranza di una madre di poter ritrovare ancora in vita la figlia, persa tragicamente durante il terremoto, e la speranza della giovane ragazza indiana, Kamala, di riscattarsi dalla miseria, risollevandosi dal fango, in cui è nata, con la stessa forza del fiore di loto che il suo nome evoca.

Un libro intenso, dai numerosi significati, che si propone, in primis, di infondere speranza alle giovani madri che hanno perso i loro figli, subito dopo la nascita. L’ho scritto con il cuore perché ‘’chi ci lascia non lo fa mai per sempre’’, ma in qualche forma continua ad esistere dentro di noi e per noi. 

Un romanzo che apre l’animo al fascino della metempsicosi, perché credere non è mai scontato, non è una mera illusione ma una è forza tangibile che ci spinge a riscoprire un autentico e sano slancio vitale.

Credere per rinascere, sempre e ovunque!

Che cosa si aspetta dalla partecipazione a Casa Sanremo Writers 2024?

Sarà un’occasione importante per presentare la mia produzione, per parlare dei miei progetti, dei concorsi letterari a cui ho partecipato, in primis del ‘’Premio Strega Poesia’’ al quale sono stata candidata con la silloge ‘’I colori di Kiev’’.