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Giovanna De Rosa – Leggendo Murakami in danese | Casa Sanremo Writers

La scrittrice Giovanna De Rosa è tra i finalisti del Concorso Casa Sanremo Writers 2022 – Opere Edite con “Leggendo Murakami in danese”

 

D’accordo con il parere della giuria, Vanya De Rosa alias Giovanna De Rosa è tra i finalisti del Concorso “Casa Sanremo Writers – Opere Edite”. Il suo libro, intitolato “Leggendo Murakami in danese“, è stato valutato da una commissione presieduta da Laura Delli Colli, giornalista e scrittrice, presidente del SNGCI e del Festival Internazionale del Film di Roma.

Leggendo Murakami in danese” è un romanzo pubblicato da Les Flâneurs Edizioni nel novembre 2020. Un’opera capace di trascinare il lettore in un mondo tutto da scoprire, anche attraverso le parole dell’autrice Giovanna De Rosa.

Per questo ve la presentiamo nell’intervista che segue, in attesa di assistere alla serata conclusiva di Casa Sanremo Writers nella settimana del Festival.

 

Quando hai scoperto di avere la passione per la scrittura?

È nata come prosecuzione naturale della passione per la lettura. Ho imparato a leggere a quattro anni e qualche mese dopo ho letto il primo libro, Il giornalino di Gian Burrasca. Mi sedevo al mio scrittoio rosso, sul balcone all’interno di casa mia, in un quartiere popolare di Bari, e leggevo ad alta voce. Ero talmente piccola che i vicini non credevano che leggessi davvero, pensavano che avessi imparato dei passi a memoria. Poi fu la volta di Piccole donne, con il personaggio di Jo March da cui fui affascinata e ispirata, ma anche Jane Eyre, Pollyanna… Dopo aver letto tanti libri, mi resi conto che le storie inventate dagli altri non mi bastavano più e cominciai a scriverle anch’io. A otto anni scrissi un racconto che ricopiai su un quadernetto e regalai alla mia maestra. Il primo romanzo, invece, l’ho scritto a undici anni, in prima media: s’intitolava Valentina. Conservo ancora il quaderno dell’epoca, era il 1972-73. Ciò nonostante, presa da una sorta di inquietudine romantica – in senso filosofico e letterario, s’intende – ho sempre ambito alla perfezione o quasi e, complice anche la mancanza di tempo tra famiglia e lavoro, poiché insegno inglese in un liceo di Bari, ho scritto molti frammenti e romanzi incompiuti. 

Nel 2002 mi sono classificata tra i finalisti del “Torneo Letterario Infinitestorie” con il racconto Il Piccolo Carro, pubblicato da Longanesi nell’ebook Voci dalla Rete 2. In seguito ho avuto esperienze come autrice di sit-com per una tv locale, e ho lavorato come responsabile di progetti di film-making autogestito nella scuola, curando con gli studenti regia, sceneggiatura e montaggio. Uno dei cortometraggi realizzati, Senti il battito (2004), è risultato vincitore del LevanteFilmFest 2005, nella sezione “Corti scolastici”, e ha ispirato il romanzo ora finalista a Casa Sanremo Writers. Nel 2017 ho vinto la prima edizione del concorso “Romanzi in cerca d’autore” e ho pubblicato il mio libro d’esordio, Ti racconterò una storia, con Kobo Editore. Nel 2018 il romanzo Volevo essere il numero uno, vincitore del concorso “Scrivi una storia” Sezione Ragazzi, è stato pubblicato in ebook da Mondadori. 

Tutti i lavori citati sono stati firmati con il mio nome anagrafico, Giovanna De Rosa, tranne la sit-com e quest’ultimo romanzo, firmati come Vanya De Rosa. Questo, d’altra parte, è il nome con cui parenti e amici mi hanno sempre chiamata, dai tempi di Gian Burrasca, e che identifica la parte più vera di me. Adesso, compiuti i miei primi 60 anni, non ho intenzione di fermarmi qui. C’è ancora tempo per inventare storie.

 

Cosa caratterizza il tuo stile, e cosa ti distingue dagli altri autori?

Il mio stile si è evoluto nel tempo, in un percorso parallelo alla mia crescita personale, alle mie esperienze, ai miei studi e alle mie letture, e anche rispetto alle pratiche di scrittura e a uno studio di tecniche accompagnato da sperimentazione. Le mie storie sono sempre pensate per immagini e “per suoni”, perché la familiarità con la letteratura in lingua inglese mi ha abituata a dare una grandissima importanza a come le parole e le frasi suonano, al ritmo, alla musicalità, e anche perché sono appassionata di musica. In questo campo sono onnivora, ascolto di tutto e per me vale quello che il mio protagonista dice di sua madre: “Senza musica le sarebbe stato impossibile affrontare la giornata. Forse persino vivere”.

I miei romanzi, quindi, li penso come se fossero dei film con colonna sonora inclusa, e come tali li pianifico. Come ho già detto, quello finalista di Writers è stato davvero un corto, prima di diventare un romanzo. Questo non vuol dire che siano scritti come copioni di un film o di una serie, quindi pieni di dialoghi. Ciò che cerco di evocare attraverso le parole, producendo immagini, sono soprattutto le ambientazioni, urbane in particolare, che sono fonte di ispirazione; ma anche le emozioni, le sensazioni. Non mi piace spiegare le emozioni più di tanto, semmai farle provare al lettore attraverso descrizioni e azioni. Non vado alla ricerca della metafora per forza, preferisco usare un linguaggio relativamente semplice creando associazioni evocative. La mia versione personale del correlativo oggettivo, insomma.

Forse ciò che può distinguermi da altri autori è proprio questo. Più di un lettore, quale persona comune o professionista del settore, mi ha riconosciuto la capacità di evocare visivamente quello che descrivo e racconto: qualcuno ha usato il termine “impressionista” per definire la mia scrittura. Ne sono stata felice, perché corrisponde proprio a quella che è la mia intenzione, e mi fa piacere che questo arrivi ai lettori. Il mio scopo è quello di scrivere storie che si leggano di continuo, senza riuscire a fermarsi, e che parlino prima alla pancia, poi al cuore e dopo, solo alla fine, vengano rielaborate dalla testa.

 

Parlaci dell’opera che hai inviato a Casa Sanremo Writers. Perché dovrebbe vincere il concorso?

Leggendo Murakami in danese è stato pubblicato a novembre 2020 da una casa editrice di Bari, Les Flâneurs Edizioni, orgogliosamente “No Eap” (non a pagamento) e diretta da Alessio Rega. Voglio citare qui anche la mia bravissima editor, Arianna Caprioli, che con il suo lavoro di cesello ha contribuito a dare valore al romanzo. 

Il libro è risultato tra i finalisti della 3^ edizione del concorso letterario “Tre Colori”, collegato alla 23° edizione del concorso cinematografico “Inventa un film” di Lenola (LT).

La storia si svolge a Bari, da dicembre a gennaio 2017-18. Giulio frequenta il secondo anno del liceo linguistico. È un ragazzo più maturo dei suoi coetanei, lettore compulsivo e aspirante scrittore. La sua vita è precipitata di colpo in un abisso svuotato di senso quando due mesi prima, in un incidente stradale, ha perso la madre Alice, che gli ha trasmesso l’amore per la letteratura, la disponibilità e la generosità verso gli altri. Ora vive solo con suo padre Alberto, anche lui insegnante, uomo dal carattere difficile, introverso e diffidente. È costretto a occuparsene, perché Alberto, devastato e incapace di reagire, non è in grado di badare a lui e neppure a se stesso. Del resto, già prima della morte di Alice il rapporto tra padre e figlio era sempre stato difficile: era proprio lei che mediava tra i due, rendendosi spesso troppo necessaria.  Nel frattempo, Giulio vive anche la propria quotidianità fuori casa, soprattutto a scuola, cercando di ricomporre in qualche modo il suo mondo andato in pezzi. In questo è aiutato dai suoi amici, che gli sono sempre accanto, e da due donne, diverse fra loro ma anche simili: la Martini, la sua professoressa di matematica, temuta quanto empatica, e Sara, una nuova compagna di classe arrivata dal nord, bellissima e misteriosa. Grazie a lei Giulio troverà una nuova ragione per continuare a sperare e scoprirà le sue analogie con Tamura Kafka, il “quindicenne più tosto del mondo” protagonista di Kafka sulla spiaggia di Murakami Haruki, che Sara gli consiglia di leggere. Comprenderà anche il valore dell’attesa e la necessità di entrare nella tempesta e attraversarla, per poterne uscire vivo e profondamente cambiato. In questo, alla fine, avrà un ruolo fondamentale anche lo svelamento di segreti familiari riguardanti suo padre, che per troppo tempo erano rimasti nascosti.

Credo che il mio romanzo possa vincere questo concorso, e mi piacerebbe che accadesse per vari motivi, oltre che per mia soddisfazione personale e per far conoscere a una fetta più ampia di lettori i miei personaggi e le loro storie. 

Innanzitutto, è bene che a livello nazionale si conosca sempre di più una realtà letteraria come quella pugliese, e barese nello specifico, che ha parecchio da offrire in termini di qualità. D’altra parte, questa edizione di Casa Sanremo non ha proprio un focus sulle Terre di Bari? Anche questo è un aspetto importante, oltre a quello del turismo paesaggistico ed enogastronomico. La città di Bari è sempre presente nel mio romanzo, fa da sfondo ma in qualche passo diventa anche co-protagonista.  Poi, un aspetto che tengo a sottolineare è l’importanza trasversale di alcuni temi trattati. Si tratta di un romanzo di formazione, mirato sì a un target di lettori adolescenti dai 15 anni in su, ma anche, e forse soprattutto, a un pubblico di adulti che hanno a che fare con le giovani generazioni ricoprendo vari ruoli: genitori, insegnanti, parenti, ecc. Qualcuno forse definirebbe il mio romanzo una storia di resilienza; io preferisco dire che la storia di Giulio e degli altri personaggi ruota intorno a due punti: forza e fragilità. Non sono necessariamente incompatibili, anzi, spesso sono entrambe presenti nella stessa persona, come gli “opposti complementari” del poeta William Blake di cui si parla – non a caso – in un passo del libro. Sono opposti, ma coesistono. Anzi, l’uno non può esistere senza l’altro. All’inizio Giulio va alla ricerca di normalità, proprio per poter “raccogliere tutta la forza disponibile per diventare di colpo adulto”. Nel corso della storia, grazie anche all’aiuto di Sara e di altri personaggi, si renderà conto che non bisogna aver paura di accettare e di esporre agli altri la propria fragilità, perché più gli altri la vedono, più riconoscono la forza che la accompagna. 

Infine, è un romanzo in cui si parla anche di un tema caldo come la scuola e di come per gli adolescenti possa spesso rappresentare un luogo di “salvezza”. Un luogo di formazione a tutto campo, di educazione formale, informale e persino trasmessa in modo involontario e non consapevole. A parole uno dei luoghi più odiati, nella realtà uno di quelli che ci sono più mancati di recente, fra pandemia, lockdown e DaD forzata. Un luogo in cui si intrecciano storie. Non a caso, è anche uno dei più usati e abusati in letteratura e nelle “fiction” cinematografiche e televisive. Credo che nella scuola si giochi sempre una grande partita, in cui ognuno deve muoversi come compete al proprio ruolo, come negli scacchi, ma deve anche saper rompere gli schemi, se serve a continuare il gioco e a salvare un pezzo della squadra, specialmente un pedone più debole, e a farlo progredire. Certo, la realtà della scuola è sempre più complessa, a noi docenti viene richiesto di fare sempre di più anche in campi che non dovrebbero essere di nostra competenza, e la gestione diventa di anno in anno più difficile. In questo momento, più che mai, bisogna mantenere un riflettore acceso su queste tematiche. Serve sinergia fra i vari attori che concorrono all’educazione, alla formazione e al benessere psicologico degli adolescenti.

 

Continua a seguirci per scoprire tutti gli autori finalisti del Concorso Casa Sanremo Writers!